Oggi voglio condividere con voi una deliziosa ricetta che rappresenta la tradizione culinaria della Campania: i biscotti di San Gennaro! Questi dolcetti soffici e golosi sono tipici della cucina campana e vengono preparati in occasione della ricorrenza di San Gennaro, il patrono di Napoli. La loro origine risale a un tempo in cui erano preparati dalle suore dell’Ospedale San Gennaro dei Poveri, nel rione Sanità. Oggi, grazie al maestro dell’arte bianca Leopoldo Infante, questo dolce è stata riscoperto e amata da tutti. n Gli ingredienti sono semplici e facilmente reperibili. n Per i miei biscotti di San Gennaro: n – Farina 00: 90 gr n – Uova: 2 n – Zucchero semolato: 60 gr n – Lievito vanigliato per dolci: 1 pizzico n – Scorza di limone: q.b. n – Confettura di ciliegie: q.b. n – Zucchero a velo: q.b. n – Vanillina: 1 pizzico Ecco come prepararli passo dopo passo: n In una planetaria, unite le uova con lo zucchero e montate a massima velocità. nn Setacciate farina, lievito e vanillina e uniteli al composto montato. Aggiungete anche la scorza di limone e continuate a montare a velocità minima. nn Finite di lavorare il composto con una spatola. nn Versate il composto con un cucchiaio formando dei piccoli cerchi su una teglia e fate cuocere i biscotti in forno a 200 gradi per circa 7 minuti. Lasciate raffreddare completamente. nn Una volta ben freddi, farcite i biscotti con la confettura di ciliegie e poi accoppiateli. Spolverizzate con un po’ di zucchero a velo e servite. I biscotti di San Gennaro possono essere gustati al naturale o farciti con una golosa confettura a vostra scelta. Potete lasciarvi ispirare dalla tradizione o dare libero sfogo alla vostra creatività! I biscotti si conservano in una scatola di latta o in un contenitore ermetico, a temperatura ambiente, per circa 1-2 giorni. nn Questi dolcetti sono perfetti per ogni occasione, dalla colazione alla merenda, e vi faranno assaporare un pezzo della tradizione campana. Non vedo l’ora di sentire le vostre esperienze e di vedere le vostre creazioni! Taggatemi nelle vostre foto e utilizzate l’hashtag #impastologo n ️
Perché la pizza può causare sete e disagio digestivo
Ciao a tutti gli amici dell’impastologia! Oggi voglio parlarvi di un argomento che riguarda uno dei nostri piatti preferiti: la pizza. Avete mai notato che dopo averla mangiata, può venire una forte sete e la digestione può risultare un po’ difficile? Beh, non siete soli! In realtà, la colpa di questi disagi non è della pizza in sé, ma piuttosto della sua preparazione. Ma cosa succede durante la preparazione della pizza che può influenzare la nostra sete e la digestione? Innanzitutto, dobbiamo capire che la pizza è il risultato di due importanti processi: la lievitazione e la maturazione dell’impasto. nn Durante la lievitazione, l’impasto aumenta di volume grazie all’azione fermentativa del lievito. Questo processo produce acqua e anidride carbonica, che rimangono intrappolate nella struttura proteica del glutine. La lievitazione può avvenire in tempi rapidi, ma è solo una parte del processo. nn La maturazione, invece, è una fase in cui gli enzimi presenti nella farina scompongono gli amidi e il glutine. Questo processo richiede più tempo e dipende da diversi fattori, come la qualità della farina, la temperatura ambiente e il tempo di lievitazione. Con farine forti, ad esempio, il tempo di maturazione si allunga e si rende necessario rallentare la lievitazione, mettendo l’impasto a bassa temperatura per diverse ore. nn Ora, la cosa importante da capire è che una preparazione frettolosa e imprecisa può compromettere sia la lievitazione che la maturazione dell’impasto. Questo può influire sulla digeribilità della pizza e causare sete. Quando l’impasto non è stato adeguatamente maturato, può risultare indigesto e stimolare la sete. Inoltre, l’aggiunta di sostanze rinforzanti o un eccesso di enzimi può avere effetti negativi sulla qualità dell’impasto e sulla sua digeribilità. nn Un altro fattore che può contribuire alla sete è l’eccessiva quantità di sale usata per compensare una scarsa maturazione. Questo difetto può essere subito percepito al palato. nn Oltre alla preparazione dell’impasto, anche la cottura gioca un ruolo importante nella digeribilità della pizza. Una cottura adeguata, con una temperatura elevata, contribuisce a rendere la pizza più digeribile. Quindi, in conclusione, se desiderate una pizza che sia facilmente digeribile e non vi faccia venire sete, è importante prestare attenzione alla preparazione dell’impasto. Assicuratevi di concedere il giusto tempo per la lievitazione e la maturazione, utilizzando ingredienti di alta qualità. Inoltre, evitate l’aggiunta eccessiva di sostanze rinforzanti e controllate la quantità di sale utilizzata. nn Spero che questa spiegazione vi abbia dato una migliore comprensione del motivo per cui la pizza può causare sete e disagio digestivo. Ricordate che la pizza è un’arte culinaria che richiede tempo e attenzione per ottenere risultati gustosi e facilmente digeribili. Buon impasto a tutti!
Affumicatura e bruciatura degli impasti
Considerazioni sulla Salute e Pratiche Sicure: L’affumicatura delle pizze è diventata una tendenza culinaria sempre più diffusa, offrendo un sapore affumicato e distintivo a questo amato piatto. Tuttavia, è importante comprendere le implicazioni sulla salute e adottare pratiche sicure durante il processo di affumicatura. In questo articolo, esploreremo gli aspetti cruciali da considerare per garantire una preparazione sicura e gustosa delle pizze affumicate. Esposizione ai fumi del forno: Alzando la pizza nella platea di un forno a legna per pochi secondi, è improbabile che si conferisca un sapore affumicato significativo all’impasto. L’affumicatura richiede generalmente un periodo di esposizione più lungo al fumo per permettere alle sostanze aromatiche di penetrare nell’impasto e apportare un sapore affumicato distintivo. La pratica di alzare la pizza nella platea del forno a legna serve principalmente a ottenere una cottura uniforme e una crosta ben cotta. L’esposizione al fumo durante questo breve periodo potrebbe apportare solo lievi sfumature di sapore affumicato, ma difficilmente si otterrà un risultato rilevante rispetto all’affumicatura tradizionale. Se si desidera conferire un sapore affumicato più pronunciato alla pizza, potrebbe essere necessario utilizzare altri metodi, come l’utilizzo di legno affumicato o condimenti precedentemente affumicati. Questi approcci offrono una maggiore possibilità di ottenere un sapore affumicato desiderato, ma richiedono una preparazione più specifica e un tempo di cottura adeguato per raggiungere il risultato desiderato. Quando si cuoce una pizza nel forno a legna, è inevitabile che ci sia una breve esposizione ai fumi del legno durante l’alzata nella platea. Tuttavia, diversi fattori influenzano il livello di esposizione e il potenziale impatto sulla salute. È fondamentale assicurare una buona ventilazione del forno per ridurre l’accumulo di fumi e garantire una circolazione d’aria adeguata. La durata e l’intensità dell’affumicatura nel forno a legna sono anche elementi importanti da considerare. Una breve esposizione ai fumi durante l’alzata della pizza nella platea, seguita dalla cottura sulla pietra o sulla griglia del forno, riduce significativamente l’esposizione complessiva ai fumi. Inoltre, evitare bruciature eccessive o carbonizzazioni dell’impasto contribuisce a minimizzare la formazione di sostanze dannose come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Cosa sono gli IPA La loro pericolosità dipende dalla composizione della legna, dalle condizioni di combustione e dal grado di esposizione. Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono composti chimici che si formano durante la combustione incompleta di carbonio organico, come la legna. Alcuni IPA sono classificati come cancerogeni e possono essere associati a un aumentato rischio di tumori, in particolare quelli polmonari e della pelle. La quantità e la pericolosità dei fumi dipendono anche dal tipo di legna utilizzata. La legna secca e ben stagionata produce meno fumo e sostanze nocive rispetto alla legna umida o trattata chimicamente. Inoltre, un’adeguata ventilazione dell’ambiente in cui si svolge la combustione può contribuire a ridurre l’esposizione ai fumi dannosi. Misurazione degli IPA e considerazioni sulla salute: Misurare direttamente la concentrazione di IPA su una pizza può richiedere analisi di laboratorio complesse. Tuttavia, è importante notare che l’esposizione ai fumi di breve durata durante la preparazione della pizza di solito non comporta una concentrazione elevata di IPA. Seguire le pratiche di cottura consigliate, evitare bruciature eccessive e assicurare una buona ventilazione del forno contribuiscono a ridurre al minimo l’esposizione ai composti chimici dannosi. Precauzioni e pratiche sicure: Per garantire una preparazione sicura delle pizze, ecco alcune precauzioni da adottare: – Utilizzare un forno a legna ben ventilato e assicurarsi che ci sia una buona circolazione d’aria. – Scegliere legna di alta qualità, ben stagionata e priva di trattamenti chimici. – Evitare bruciature eccessive o carbonizzazioni dell’impasto. – Monitorare attentamente la temperatura del forno per evitare la formazione di fumo eccessivo. – Seguire le linee guida sulla sicurezza alimentare locali e adottare pratiche igieniche durante la preparazione delle pizze. Qualità del combustibile utilizzato: La scelta del legno per il forno a legna è un aspetto fondamentale per garantire una cottura sicura e salutare. Utilizzare legna di alta qualità, ben stagionata e priva di trattamenti chimici riduce il rischio di formazione di composti dannosi durante la combustione. Legni come quercia, faggio o frutta sono spesso considerati opzioni sicure per l’affumicatura delle pizze. Conclusioni: L’affumicatura delle pizze può offrire un’esperienza culinaria affascinante e saporita. Se seguite le pratiche sicure e le precauzioni appropriate, l’esposizione ai fumi durante l’alzata della pizza nella platea dovrebbe essere di breve durata e a basso rischio per la salute. Assicurarsi di utilizzare un forno ben ventilato, scegliere legna di alta qualità e cuocere la pizza in modo attento sono elementi fondamentali per garantire una preparazione sicura e gustosa delle pizze affumicate. Godetevi le vostre creazioni affumicate con consapevolezza e attenzione alla salute. *Le immagini presenti sono state reperite da fonti web e non sono di mia proprietà.
L’importanza del pH negli impasti
Il pH, ossia il grado di acidità o alcalinità di un impasto, è un parametro fondamentale da tenere sotto stretto controllo quando si preparano prodotti da forno lievitati come pane, pizza, focacce, brioche e tanto altro. Il pH influisce notevolmente sulla lievitazione e quindi sul volume finale, sulla sofficità, sulla fragranza e sulla conservabilità del prodotto finito. misurare e gestire correttamente il pH dell’impasto è indispensabile per ottenere lievitati ben gonfi, morbidi e fragranti. Il pH negli impasti per prodotti da forno lievitati dipende da diversi fattori: – Ingredienti utilizzati: farine con elevato contenuto proteico tendono ad essere più acide, così come i liquidi acidi come il latte e lo yogurt abbassano il pH. – Metodo di lavorazione dell’impasto: impasti lavorati a lungo o sottoposti a ripetute pieghe sviluppano acidità, abbassando il pH. – Presenza di acidi organici: gli acidi prodotti naturalmente dai latticini, dalla frutta e dai lieviti, acidificano l’impasto. – Fermentazione degli amidi: durante la lievitazione gli amidi vengono scissi in zuccheri semplici, andando incontro a fermentazione acida. – Fermentazione dei batteri lattici: i batteri lattici trasformano gli zuccheri in acido lattico, acidificando l’impasto. – Ossidazione dei lipidi: i grassi contenuti nell’impasto possono ossidarsi e formare acidi organici. – Lievito e sale: il lievito tende a rendere l’impasto più acido, il sale ha effetto alcalinizzante. – Metodo di lievitazione: lunghe lievitazioni a basse temperature creano un ambiente più acido. Quando misurare il pH negli impasti Il pH va misurato in due momenti precisi: subito dopo aver amalgamato tutti gli ingredienti, ottenendo quella che in gergo si chiama la “massa d’impasto”, e poi nuovamente nel prodotto finito e cotto, preferibilmente a livello della mollica. Il primo controllo del pH ci permette di verificare l’acidità iniziale dell’impasto e, se necessario, di intervenire aggiungendo acidi o alcali per riportarlo nel range ottimale. Il secondo controllo nel prodotto cotto serve invece a capire come il pH si è evoluto durante la lievitazione e la cottura, fornendoci preziose informazioni per migliorare il processo. Come misurare il pH dell’impasto Per misurare il pH dell’impasto appena amalgamato, il metodo migliore è utilizzare un pratico pH-metro da cucina, facile da reperire e da usare. In alternativa, si possono utilizzare delle apposite cartine tornasole per alimenti, che cambiano colore a seconda del pH. Nel prodotto finito, la misura va eseguita sulla mollica, che deve essere tritata finemente e mescolata con poca acqua distillata per ottenere una soluzione liquida su cui poter immergere la sonda del pH-metro o la cartina tornasole. È importante che la misura avvenga sempre a temperatura ambiente. Qual è il pH ideale negli impasti? Ma vediamo quali sono i valori “giusti” di pH a cui dobbiamo mirare. Per una buona lievitazione, con una temperatura ambiente sui 25°C, il pH ottimale per l’impasto si aggira intorno a 5-5,5 al massimo 6. Valori superiori a 6,5 rallentano notevolmente l’attività dei lieviti, mentre sotto 4,5 i lieviti tendono a morire e la lievitazione ne risente pesantemente. Anche la temperatura incide parecchio: con 15°C di ambiente il pH ideale scende a 5-5,5, mentre a 30°C può salire fino a 6-6,5. Analizziamo più nel dettaglio le conseguenze: pH troppo acido (sotto 5) – I lieviti vengono inibiti e non riescono a svolgere bene la loro azione lievitante. L’impasto si gonfierà poco. – Le proteine del glutine non coagulano bene, assumendo una consistenza appiccicosa e poco elastica. L’impasto risulterà appiccicoso. – I composti responsabili del sapore e dell’aroma non si sviluppano appieno. Il prodotto avrà un sapore piatto. – C’è un maggiore sviluppo di batteri acidificanti che accelerano il deterioramento dell’impasto. pH troppo alcalino (sopra 6.5) – L’attività dei lieviti rallenta, così la lievitazione è più lenta. L’impasto si gonfia con difficoltà. – Le proteine del glutine si aggregano troppo fra loro. L’impasto perde elasticità e tende a diventare gummoso. – Anche in questo caso aroma e sapore risultano attenuati. – La solubilità delle proteine è ridotta. L’impasto assorbe meno acqua, risultando consistente e duro. – La conservabilità è minore rispetto a un pH ottimale tra 5 e 6. La temperatura “ideale” per il ph La temperatura è un fattore molto importante da considerare quando si misura e si gestisce il pH negli impasti lievitati. Ecco spiegato perché: – L’attività dei lieviti è influenzata dalla temperatura. A temperature più alte i lieviti lavorano più velocemente, a temperature più basse rallentano. – Di conseguenza, il pH ottimale cambia a seconda della temperatura di lievitazione. Con impasti a 15°C il pH ideale è sui 5-5,5, a 25°C sale a 5,5-6 e a 30°C arriva a 6-6,5. – Gli enzimi del lievito che scompongono amidi e proteine in zuccheri fermentescibili lavorano meglio a temperature tra 25-30°C. Sotto i 10°C la loro attività è molto ridotta. – Le proteine del glutine che conferiscono tenacità ed elasticità all’impasto coagulano meglio a temperature fra 25-30°C. Sopra i 30°C tendono a coagulare troppo. – Gli acidi organici che contribuiscono al sapore vengono prodotti maggiormente tra 25-30°C. Temperature più alte o più basse ne limitano la produzione e il sapore risulta piatto. – Anche la velocità di molte reazioni chimiche che avvengono durante l’impasto e la lievitazione aumenta al crescere della temperatura. Per tutti questi motivi monitorare temperatura e pH in parallelo è indispensabile per una buona lievitazione e per prodotti finali ottimali. Come correggere il pH dell’impasto Qualora rilevassimo un pH troppo acido o troppo alcalino, esistono diversi metodi per riportarlo nel range ottimale e salvaguardare lievitazione e qualità del prodotto finito. Per aumentare il pH e rendere l’impasto meno acido, possiamo aggiungere bicarbonato o lievito chimico. Viceversa, per abbassare un pH troppo alcalino e acidificare la massa, sono indicati acidi come l’aceto, il latticello o il lievito acido. Attenzione però a non esagerare con le quantità, poco basta. In conclusione, monitorare e gestire correttamente il pH è un passaggio fondamentale per ottenere dai nostri impasti lievitati degni di un vero artigiano, dalla sofficità e fragranza impareggiabili. Armandoci di pH-metro e cartine tornasole possiamo finalmente ottimizzare i nostri impasti ed esaltarne al massimo le potenzialità.
Le crepes
hanno origini molto antiche, risalendo probabilmente all’epoca dei Romani. Sembra che già ai tempi dell’Impero romano si preparassero crêpes simili a quelle odierne, a base di farina, acqua e uova. In Francia le crepes si diffusero nel Medioevo: i monaci, abili cuochi, le cucinavano negli scriptorium come spuntino durante il lavoro di copiatura dei testi. Nel tempo divennero un piatto povero ma nutriente per le popolazioni contadine. Fu nel XVI secolo che le crepes assunsero la forma sottile e rotonda che ancora oggi le contraddistingue. Nacque in quel periodo anche la tradizione di consumarle durante il periodo di Carnevale. Molto apprezzate dalla nobiltà francese nel XVII-XVIII secolo, le crepes iniziarono ad essere farcite in modo più ricercato, con ingredienti come panna, uova, frutta. In epoca contemporanea si diffusero poi in tutta Europa grazie agli spostamenti della popolazione. Approdarono infine nel Nuovo Mondo portate dagli emigranti francesi, divenendo un dolce tipico del Nord America. Oggi le crepes sono diffuse in tutto il mondo e si presentano in numerose varianti regionali, ma restano profondamente legate alla tradizione culinaria d’Oltralpe, dove sono tuttora considerate uno dei simboli della gastronomia francese. Ecco la ricetta per le mie crepes: Ingredienti: – 125g di farina – 250ml di latte – 2 uova – 1 cucchiaio di zucchero – 1 pizzico di sale – 40g di burro morbido – Burro per ungere la padella Procedimento: 1. Setacciare farina, zucchero e sale in una ciotola 1. Aggiungere uova e burro morbido e lavorare gli ingredienti 1. Versare gradualmente il latte mescolando 1. Coprire e far riposare l’impasto 30 min 1. Scaldare la padella e ungere con burro 1. Cuocere le crepes da entrambi i lati 1. Farle e gustarle calde! Con l’aggiunta del burro l’impasto risulta più cremoso e gustoso. Provate questa nuova versione e fatemi sapere cosa ne pensate! Buon appetito!
Farina Manitoba: origini, caratteristiche e utilizzi della farina forte del Nord America
La farina Manitoba, soprannominata anche farina americana, si ottiene dalla macinazione di svariate tipologie di frumento tenero coltivato nelle aree del Nord America, in particolare nella regione Manitoba, una provincia del Canada da cui deriva il nome. Si tratta di un grano molto potente, capace di resistere alle basse temperature, con un’elevata percentuale di proteine. Cosa s’intende per forza della farina? Quando si nomina la “forza della farina”, si allude alla capacità della farina stessa di incorporare i liquidi durante l’impastamento e trattenere l’anidride carbonica durante la lievitazione. Il suo valore dipende dal contenuto proteico, nello specifico di 2 tipi: la gliadina e la glutenina che a contatto con l’acqua e per azione meccanica, reagiscono formando un complesso proteico chiamato glutine. Curiosità: la farina Manitoba deve il suo nome al territorio canadese del Manitoba, zona dal clima rigidissimo dove cresce un grano duro e resistente! Che cosa s’intende per farine “FORTI” o “DEBOLI”? E per quali usi si prestano queste farine? Il grado di forza di una farina viene determinato in laboratorio mediante uno strumento meccanico denominato alveografo di Chopin, che lavora sull’impasto. Dai dati di questi grafici si ottengono le seguenti informazioni sull’impasto: P: che indica l’indice di tenacità/resistenza dell’impasto L: che indica l’indice di elasticità dell’impasto W: che indica la forza della farina o detta anche energia necessaria per rompere l’impasto Le farine si suddividono in farine “forti” e farine “deboli”. Una farina definita “forte” o farina di forza, è una farina che possiede un elevato contenuto di glutine. Questa tipologia di farina assorbe alte percentuali di liquidi e trattiene più anidride carbonica. L’impasto risulta così più elastico, tenace e notevolmente resistente alla lievitazione grazie alla formazione di una maglia glutinica solida. L’uso di queste farine con alto valore W è ideale per impasti che richiedono una lunga lievitazione, evitando che l’impasto si afflosci e sgonfi. Alcuni dei prodotti realizzabili con queste farine sono: il pane, il pan brioche, il panettone, il pandoro, le colombe che risulteranno soffici e ben alveolati. Le farine definite “deboli”, al contrario assorbono meno liquidi, formando una rete glutinica ridotta che durante la lievitazione trattiene minore anidride carbonica. Avendo una maglia glutinica fragile, non avrà molta tenuta e di conseguenza se lavorata eccessivamente perderà la sua struttura e l’impasto risulterà liquido e appiccicoso. Le farine con basso valore W trovano il loro uso ideale nelle ricette di prodotti che necessitano di poca lievitazione e che conferiscono friabilità al prodotto come ad esempio: biscotti, torte, pasta frolla, focacce, grissini e molto altro. Come identificare la forza di una farina? Non esiste un metodo preciso se non la valutazione con l’alveografo di Chopin (di cui abbiamo parlato in precedenza). L’unico modo per riconoscere se una farina è forte o debole, è leggere il valore di W riportato sulla confezione o sulla scheda tecnica della farina. Un W elevato (sopra 250-300) indicherà una farina potente, un W basso (da 200 in giù), al contrario, una farina debole. Nella via di mezzo le farine di forza media. Che tipo di farina è la Manitoba? Per l’elevata quantità di glutine presente, la Manitoba viene definita una “farina robusta”, utilizzata per aumentare a livello di forza, tenacità ed elasticità altri tipi di farina più fragili, ma soprattutto per realizzare impasti che richiedono una lunga lievitazione, rendendo inoltre i prodotti molto più morbidi e soffici. Al giorno d’oggi si indicano con il termine Manitoba tutte le farine con un valore W maggiore di 360, qualsiasi sia l’area di produzione e la varietà di grano impiegata. I valori delle farine vengono classificati nel seguente modo: BASE: fino a W 200 – ideale per pizza in teglia, pane comune ad impasto diretto, frolla e biscotti, grissini e cracker; MEDIA: fino a W 280 – indicata per tipologie di pane particolari come baguettes e rosette, panini all’olio, pizza in pala e per la sfoglia; ROBUSTA: fino a W 360 – utilizzata per impasti lievitati che necessitano di un’alta idratazione come brioche e croissant, per panettoni, pandori e colombe, pane per hamburger e pizza a lunga lievitazione. Ideale anche per il rinfresco del lievito madre e impasti con biga e poolish.